Vitamina D nel Sedentario e nello Sportivo
- noce86tx
- 12 mag 2023
- Tempo di lettura: 8 min

Esiste una vitamina che risente sia della dieta, ma anche dello stile di vita; una vitamina che non si può ricavare così facilmente dalla dieta, stiamo parlando della vitamina D. Numerosi studi, infatti, riportano carenze di vitamina D in determinate popolazioni, tant’è che la sua integrazione sta diventando sempre più popolare, anche sulle moderne reti di comunicazione social. Se guardiamo gli atleti, ad esempio, sappiamo che coloro che si allenano al chiuso, vivono ad alta quota ed hanno la pelle scura sono particolarmente soggetti a questa tipologia di carenza. Diversi fattori ostacolano una corretta e costante esposizione alla luce solare diretta, con una conseguente riduzione della sintesi di vitamina D. La sintesi di vitamina D attraverso la luce solare è influenzata dall’abbigliamento indossato, quindi dalla porzione di corpo esposta al sole, ovviamente più sono coperto e meno raggi solari ricevo; dalla protezione solare utilizzata; dalla pigmentazione della pelle; dall’età (la sintesi endogena diminuisce con l’avanzare dell'età); dalle stagioni dell’anno; dalla latitudine e dalla copertura nuvolosa. Questo per farvi capire che per assurdo, a parità di dieta, la mia stessa geolocalizzazione può influenzare la sintesi di vitamina D, di conseguenza le sole raccomandazioni dietetiche non bastano per assicurare livelli corretti di questo micronutriente.
Una serie di prove da studi sperimentali mostrano che l’integrazione di vitamina D, argomento ampiamente trattato QUI, negli atleti carenti, potrebbe avere un effetto di tipo ergogenico. Studi consolidati hanno mostrato una relazione diretta tra i livelli di vitamina D e i parametri di riferimento per la valutazione delle prestazioni degli atleti d’élite.
Studi simili hanno dimostrato che quando la vitamina D è integrata assieme al calcio, si verifica una diminuzione del tasso di fratture da stress. Tipologia di fratture che sono un vero e proprio tallone d’Achille per gli sportivi poiché dovute a sollecitazioni ripetute più che a un vero e proprio trauma e derivano dunque dalla pratica dell’esercizio fisico-sportivo e dell’allenamento prolungato nel tempo. È giusto far presente che attualmente l’integrazione di vitamina D è oggetto di dibattiti molto contrastanti. Questo articolo non tratta una scienza matematica, ma sta trattando un argomento in continua evoluzione e sul quale vi è una costante e continua ricerca.
Riduttivamente parlando possiamo dire che la vitamina D controlla l’assorbimento intestinale di calcio, magnesio e fosfato. Una carenza di vitamina D incide negativamente sulla calcificazione delle ossa con effetti che vanno dal rachitismo nei bambini a deformazioni ossee ed osteoporosi, inoltre rende i denti più deboli e vulnerabili alle carie. Al contrario, un eccesso di tale vitamina (molto raro) può provocare calcificazione diffusa a livello dei vari organi, con conseguente vomito, diarrea e spasmi muscolari. Da una parte abbiamo una scuola di pensiero che vede l’integrazione di micronutrienti come qualcosa di effettivamente utile. Anche per via della loro azione sulla riduzione delle specie reattive dell’ossigeno (i ROS), prodotti che tra l’atro si generano anche durante l'esercizio fisico intenso. Qui nello schema riportato di seguito vediamo le principali cause esterne coinvolte nella produzione di radicali liberi.

Tendenzialmente, i radicali liberi causano affaticamento muscolare, compromettono il recupero e possono quindi influire negativamente sulle prestazioni. Anche se si ritiene che l’esercizio fisico possa aumentare lo stress ossidativo, mancano prove a dimostrazione che tale stress, quello correlato all’esercizio fisico intendo, sia effettivamente dannoso per la salute e le prestazioni. Allo stesso tempo, vorrei ricordare che l’esercizio fisico quotidiano stimola esso stesso il corpo a sintetizzare antiossidanti endogeni. Gli esperti che si schierano contro la supplementazione di vitamina D fanno notare che tale vitamina liposolubile, può accumularsi e causare effetti sfavorevoli come nausea, vomito, perdita di appetito, costipazione, debolezza, perdita di peso, aritmie cardiache, confusione mentale e calcificazione dei tessuti molli. Tali effetti avrebbero un impatto negativo sulle prestazioni sportive dell’atleta e anche sulla sua salute generale. Secondo alcuni l’integrazione di antiossidanti e micronutrienti non è richiesta laddove l’atleta sia in grado di soddisfare il fabbisogno di antiossidanti attraverso una ricca e varia alimentazione, questo argomento ampiamente trattato QUI. Questo poiché un livello troppo elevato di antiossidanti può danneggiare le funzioni muscolari e ridurre l’adattamento all'esercizio fisico. Anche se, a mio modesto avviso, fare il “pieno di antiossidanti” al giorno d’oggi è veramente difficile.
Pensate che il Comitato Olimpico Internazionale, quindi restiamo nel contesto sportivo, raccomanda un minimo di 5–30 minuti di contatto diretto con il sole su più parti del corpo, più volte alla settimana, nelle ore centrali del giorno ovvero tra le 10:00 e le 14:00.
La stragrande maggioranza dei risultati ricavati dai diversi studi analizzano solo la dieta, ma quando parliamo di vitamina D entrano in gioco anche valibili difficili da includere nell’equazione. L’incidenza di una eventuale carenza di vitamina D, come dicevo, dipenderà anche dalla posizione terrestre e dalla tipologia di sport, sia esso indoor o outdoor. Numerosi studi hanno infatti riportato che l’integrazione di vitamina D, a prescindere dalla situazione dell’atleta, favorisce l’aumento della forza e della massa muscolare ed anche utile per mantenere un equilibrio degli ormoni steroidei, compreso il livello adeguato di testosterone sierico, argomento ampiamente trattato QUI. La vitamina D (il calciferolo) è una vitamina liposolubile (così come la vitamina A, la E e la K), ciò significa che sono note per la loro solubilità nei grassi alimentari. Le vitamine liposolubili vengono appunto assorbite attraverso il tratto intestinale con l’aiuto dei lipidi (i grassi). Tant’è che è buona norma assumerle con una piccola fonte di grassi. Si accumulano poi nell’organismo poiché vengono immagazzinate nel fegato e nel tessuto adiposo. Di conseguenza, l’assunzione (avvenga essa da alimenti o integrazione) con cadenza quotidiana, seppur consigliata, non è tassativa. Anche se la vitamina D è stata tradizionalmente classificata come una vitamina dietetica, non può essere trattata come un classico micronutriente che troviamo negli alimenti, poiché essa può essere sintetizzata a livello endogeno dall’uomo e da altri mammiferi. Un percorso di sintesi che prevede tassativamente e notoriamente l’azione della luce solare. Per questo motivo è conosciuta come la vitamina del sole. Esistono varie isoforme di vitamina D, che variano tra loro solo per le strutture chimiche. Le due forme sono l’ergocalciferolo, e il colecalciferolo.
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Come dicevo, le due principali forme di vitamina D sono la vitamina D2 (l’ERGOCALCIFEROLO), di origine vegetale, che non può essere sintetizzata dal corpo umano e la vitamina D3 (il COLECALCIFEROLO), un isomero vitale prodotto appunto nella pelle. La vitamina D2 era l’isoforma inizialmente utilizzata negli integratori di vitamina D e nella fortificazione del cibo. Tuttavia, la vitamina D3 rimane tutt’ora la forma più indicata se si parla di integrazione alimentare. Questo perché, anche se entrambe le forme di vitamina D sono metabolizzate in maniera simile, la vitamina D3 ha una maggiore attività biologica. La vitamina D2 e la vitamina D3 vengono ambedue convertite nel fegato in 25-idrossivitamina D (25(OH)D). Quest’ultima viene poi, a sua volta, convertita nei reni nella 1,25-diidrossivitamina D (1,25(OH)2D), una sorta di metabolita più attivo. Di norma il livello di 1,25 (OH) 2D tende a rimanere in un intervallo stabile, indipendentemente dalla scarsa assunzione di vitamina D. Questa stabilità viene assicurata, per fortuna e anche sfortuna da un certo punto di vista, dalle variazioni nei livelli del paratormone (PTH). Una carenza di vitamina D infatti comporta, tra tutto, un aumento della sintesi del paratormone che determina un aumento della perdita della massa ossea. Tanto per citarvi un esempio, nell’iperparatiroidismo secondario si ha proprio un incremento della secrezione di PTH, proprio in risposta ad una carenza di calcio e di vitamina D. Per farvi capire, in soldoni, che questa stabilità nel livello ematico viene garantita a nostre spese.

L’1,25(OH)2D aumenta il riassorbimento renale e l’assorbimento intestinale di calcio e fosfati, inibisce la biosintesi di PTH e promuove i processi di differenziazione e proliferazione degli osteoblasti, favorendo in questo modo la mineralizzazione ossea. La sua produzione viene stimolata dal PTH, dall’ipocalcemia e dall’ipofosforemia, attraverso la 1α-idrossilasi renale, e dagli estrogeni, attraverso la 25-idrossilasi. Di conseguenza, quasi per esclusione, possiamo dire che a monte, il livello di siero 25 (OH) D riflette in maniera più precisa il carico di vitamina D, rispetto appunto al valore del 1,25 (OH) 2D. Pertanto, la valutazione sierica dello stato del 25 (OH) D è il test più adatto (diciamo il valore più attendibile) se dobbiamo diagnosticare una carenza di vitamina D. Tant’è che il 25 (OH) D è il valore che su utilizza nelle analisi del sangue laddove servissero delle indagini sullo stato della vitamina D.

Pensate che all’interno del corpo umano esistono quasi mille geni sensibili alla azione della vitamina D. Questi geni influenzano la salute delle ossa, ma anche la sintesi proteica muscolare, la dimensione dei muscoli, la forza, la coordinazione ed il focus mentale, l’equilibrio, la resistenza cardiovascolare, il tempo di reazione, il livello d’infiammazione e tutto il sistema immunitario.
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Come vi ho spiegato, ad oggi, il miglior indicatore sullo stato della vitamina D all’interno del nostro organismo sono i livelli sierici di 25 (OH) D. Anche se il valore limite per i livelli di vitamina D non è scientificamente provato, i valori di cut-off attuali sono stabiliti sulla base di marker clinici e del rischio di patologie. La maggior parte dei ricercatori ha definito le soglie di 25(OH)D ricavate da analisi come:
"gravemente carenti" (<12 nmol / L o 4,8 ng / mL);
"carenti" (<50 nmol / L o 20 ng / mL);
"insufficienti" (<75–80 nmol / L o 30–32 ng / mL);
“sufficienti” (> 75–80 nmol / L o 30–32 ng / mL);
“ottimali” (100–250 nmol / L o 40– 100 ng / mL);
e "tossiche" (> 375 nmol / L o 150 ng / mL)
Anche se la tossicità, per definirsi tale, deve tener conto anche di una possibile ipercalcemia. Sono tutti valori opinabili e spesso rivisti. Zittermann, ad esempio, definisce lo stato di vitamina D "ottimale" quello compreso tra 100–250 nmol / L. Adami e Holick valutano come normale quello compreso tra 75–250 nmol / L. L’Istituto di Medicina Americano definisce uno stato inadeguato di vitamina D quello inferiore a <50 nmol / L ed indica potenziali effetti avversi quando i livelli aumentano oltre i 125 nmol / L. Se si vogliono trattare poi i benefici della vitamina D per la salute, non esiste una soglia ben chiara e definita dei suoi livelli all’interno dell’organismo. Ma ragionare con il concetto, con la mentalità, che “basta il valore minimo per essere apposto con la coscienza” non è proprio corretto.
Se vogliamo scongiurare possibili patologie o comunque effetti avversi dati da una carenza di vitamina D allora sono d’accordo con voi che bastino 30–32 ng / mL, il valore minimo diciamo, ma se parliamo di valori ottimali allora basarsi su un valore minimo non è assolutamente corretto, come non lo è a mio avviso per nessuno dei micronutrienti. Questa è un po’ la differenza concettuale tra il sopravvivere e il vivere bene. Come dicevo appunto, esiste una forte correlazione tra i livelli di vitamina D e un ottimale funzionalità muscolare dell’atleta. L’aumento dei livelli di vitamina D riduce l’infiammazione, il dolore, aumenta la sintesi proteica muscolare, la concentrazione di ATP, la forza, ecc. Insomma, possiamo dire che migliora le prestazioni fisiche in generale. Questo miglioramento può avvenire anche indirettamente, essendo l’uomo moderno particolarmente soggetto alla carenza di vitamina D, possiamo dire che una sua integrazione preventiva permette d’impedire un calo prima che sia troppo tardi. Livelli che, come vi accennavo, non sono e non possono essere livelli ridotti al minimo. Già solo valori di 25 OH (D) superiori a 40 ng / mL sono necessari per la prevenzione delle fratture, comprese le fratture da stress, ma i benefici muscoloscheletrici ottimali ed il picco delle prestazioni neuromuscolari si verificano a livelli di 25 (OH) D ben superiori all’attuale soglia di sufficienza, tali valori si aggirano sui 50 ng/mL.


Attenzione! Le informazioni contenute in questo articolo e nel Sito più in generale non intendono e non devono in alcun modo sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.
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