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CARBOIDRATI. Quali? Quanti e Quando?

  • noce86tx
  • 20 set 2022
  • Tempo di lettura: 9 min

Di quanti carboidrati abbiamo bisogno? Quale alimento è più indicato come fonte di carboidrati? Come possiamo pianificare al meglio l’utilizzo di questo macronutriente senza che ci si ritorca contro?

Esistono programmi dietetici volti al dimagrimento che limitano l’introito di carboidrati, mentre altri con il medesimo scopo che possono arrivare a fornire il +50% dell'energia totale proprio dai glucidi (solitamente in quest’ultimo caso vengono tagliati drasticamente i grassi). Qual è dunque la strategia giusta? Un conto è parlare d’atleti d’endurance, persone che per la natura dell’esercizio fisico che svolgono utilizzano in maniera molto efficiente l’energia che deriva dai carboidrati, sia per ottimizzare le prestazioni, ma anche per il recupero; un conto invece è parlare di atleti che praticano sollevamento pesi in palestra, e che mirano essenzialmente ad una forma fisica tonica ed asciutta.

Ad ogni modo, l’esercizio fisico (ed il body building non fa eccezione) dipende dal glucosio come fonte di carburante.

Come regola generale, maggiore è la sensazione di bruciore/acido lattico durante l’esercizio, maggiore è il ricorso al glucosio durante quell'allenamento.

Sebbene vi sia una sovrabbondanza di miti e leggende che aleggiano attorno alla quantità di carboidrati di cui abbiamo realmente bisogno, rimane il fatto che essi rappresentano il contributo dietetico principale per la razza umana, sia nei paesi sviluppati e anche in quelli sottosviluppati. Oltretutto, l'importanza dei carboidrati non si limita semplicemente alla fornitura di energia.

Ad esempio, la maggior parte delle fibre alimentari vengono classificate come carboidrati. Sebbene le fibre alimentari forniscono meno energia, il loro ruolo nelle operazioni digestive e nella prevenzione delle malattie è molto più che significativo. Altri carboidrati, come i glicosaminoglicani (GAG), svolgono ruoli strutturali, specialmente per il tessuto connettivo.


"L'albero genealogico" dei carboidrati.

Come dicevo poc’anzi, le fibre sono una tipologia di carboidrato in grado di resistere alla digestione e all'assorbimento nell'intestino tenue. Esistono molteplici tipologie di fibre, tuttavia, le due categorie più note sono le solubili e le insolubili. Le prime sono solubili in acqua e comprendono: pectine, gomme, β-glucani, psyllium, inulina e mucillagini. Le insolubili invece, come dice il nome stesso, non sono solubili in acqua e comprendono: cellulosa, emicellulosa e lignina (quest’ultima non è propriamente un carboidrato, bensì una sostanza polifenolica). Frutta, verdure e cibi integrali sono tutte ottime fonti naturali di fibre. Le loro facoltà sono oramai note a tutti: riducono il rischio di malattia coronarica, ictus, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, obesità (effetto ipoglicemizzante) ed alcune patologie gastrointestinali (sono un prebiotico naturale). Oggi le lavorazioni industriali producono notevoli mutamenti nel cibo, riducendo sensibilmente l’apporto di fibre.


La quantità di fibra presente nella dieta dell'uomo moderno può variare geograficamente, ma di solito il loro consumo è tendenzialmente più basso nei paesi sviluppati. Ad esempio: al momento l'assunzione media di fibre negli Stati Uniti d’America è di circa 12 e 18 gr/giorno, rispettivamente per le donne e gli uomini, un valore che è ben al di sotto delle raccomandazioni.


Per una donna che consuma circa 2000 kcal/die, l’apporto dietetico totale di fibra consigliato si aggira sui 21 – 25 gr/die, ovvero circa 12 gr ogni 1000 kcal consumate.


Per l’uomo che consuma circa 2600 kcal/giorno, l’apporto dietetico totale di fibra consigliato si aggira sui 30 – 38 gr/die.


Per gli adulti (di ambedue i sessi) di età superiore ai +50 anni si raccomanda il dosaggio minimo dei range sopraindicati (21 gr/die donne e 30 gr/die per gli uomini).


Le fibre sono carboidrati in grado di resistere alla digestione e all'assorbimento, verrebbe quindi da pensare che non debbano essere conteggiare nelle quote dei macronutrienti giornalieri, ma le fibre differiscono tra loro per facilità di digestione ed energia che forniscono. La fibra solubile ad esempio, una volta fermentata nel colon, produce acidi grassi a catena corta (SCFA) che forniscono energia al corpo. La FDA statunitense stima che le fibre fermentate dai batteri forniscono circa 2 kcal/gr di fibra, invece delle classiche 4 kcal in uso per gli zuccheri. Mentre si stima che le fibre insolubili, che non vengono affatto digerite, apportino 0 kcal. A mio avviso, conteggiarle, non conteggiarle, contarle a metà … è un po’ come discutere del sesso degli angeli, visto che si potrebbe aprire una parentesi infinita sul reale apporto calorico di tutti i macronutrienti. La mia raccomandazione è più che altro quella di assicurarsi sempre un buon apporto di fibre dietetiche (vedi indicazioni sopracitate) prima di pensare a calcoli ingegneristici.


Torniamo a parlare di carboidrati …


Tutte le cellule possono utilizzare il glucosio a scopi energetici. Ciò significa che il glucosio deve avere un mezzo (insulina) per attraversare la membrana plasmatica. Inoltre, poiché il carboidrato può essere utilizzato come fonte energetica immediata, immagazzinato come glicogeno o grasso o utilizzato per produrre determinati aminoacidi o altre molecole; diversi fattori concorrono per il suo corretto utilizzo all'interno delle cellule.


INDICE GLICEMICO (glycemic index - GI)


I carboidrati (i tanto amati CHO) costituiscono, tendenzialmente, la quota preponderante tra tutti e tre i nutrienti deputati a fornire energia all'interno di una dieta (Díaz, Galgani, Aguirre - 2006). È sempre più evidente che il tipo di carboidrato consumato è un fattore importante, in grado d’influenzare anche la prestazione fisica (O’Reilly, Wong, Chen - 2010) ed il rischio di sviluppare patologie quali l’obesità e le malattie croniche ad essa associate (daSilva, deCàssia - 2011). Il concetto di indice glicemico (GI) è stato sviluppato nel 1981 da Jenkins et al. con lo scopo di catalogare la tipologia di carboidrato in base alla risposta dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia) ed insulina dopo l’assunzione. Molto spesso si utilizza il glucosio come alimento di riferimento; a cui è stato attribuito un valore pari a 100.



La tabella precedente illustra la categorizzazione dei valori GI. L'adesione a lungo termine ad una dieta basata su alimenti a basso indice glicemico può indurre effetti metabolici favorevoli (McKeown - 2009; Frost - 1999), ma la pianificazione di quest’ultima non è proprio così semplice. Gli alimenti contenenti carboidrati semplici (monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi) hanno un indice glicemico elevato. Al contrario, gli alimenti contenenti carboidrati complessi (amido, fibra) di solito hanno un indice glicemico basso.


Tuttavia, l'indice glicemico di un alimento non dipende solo dal suo contenuto di carboidrati, ma anche da altri fattori quali il pH, la cottura, la lavorazione ed altri componenti alimentari che lo compongono (fibre, grassi, proteine) (FAO / WHO 1998).


Nonostante i continui sforzi fatti per classificare sistematicamente le fonti pubblicate e non pubblicate dei valori d’indice glicemico ritenuti affidabili (Foster-Powell - 2002; Atkinson - 2008), nessun metodo standardizzato è attualmente disponibile. Considerando che il valore dell’indice glicemico di un alimento può variare in maniera significativa da uno all'altro a causa dei suddetti fattori (es. PH, cottura, ecc.), è buona norma che l’individuo cerchi di seguire una dieta ricca di alimenti sani trattati con metodologie di cottura e conservazione che non deturpino eccessivamente l’alimento in questione. Inoltre, ci sono diverse risposte glicemiche tra gli individui dopo il consumo di un pasto a base di carboidrati. Ciò può essere attribuito alla presenza di diabete, pre-diabete o insulino resistenza (Simpson, McDonald - 1985) e a diverse caratteristiche individuali, come età, sesso, peso corporeo e razza (Kolata - 1987).


CARICO GLICEMICO (glycemic load - GL)


Il carico glicemico (GL) rappresenta un sistema di classificazione dei carboidrati ingeriti e riflette l'esposizione totale alla glicemia durante un periodo di 2 ore. Costituisce un prodotto matematico che incorpora sia il contenuto di CHO in grammi per porzione che il punteggio GI del cibo ed è quantificato con la seguente equazione:


GL = Contenuto di Carboidrati × GI / 100

Un po’ come accade per l’indice glicemico, gli alimenti sono classificati come aventi carico glicemico basso, medio o alto. A causa della limitata esperienza con l'uso dei valori di carico glicemico, Brand-Miller et al. (2003) hanno suggerito, come punto di partenza, che i cutoff preliminari fossero ≤ 10 per un GL basso, tra 11 e 19 per un GL medio e ≥ 20 per un GL elevato. Come già accennato, il concetto d’indice glicemico si basa sull'ingestione di una quantità fissa di carboidrati, solitamente dai 50 ai 70 gr. Messi insieme, LA QUANTITÀ E L'INDICE GLICEMICO DEI CARBOIDRATI, rappresentano circa il 90% della variabilità totale nella risposta del glucosio ematico. Quindi considerare solo l'indice glicemico per spiegare le diverse risposte metaboliche nella fase postprandiale, e non la quantità di carboidrati ingeriti, potrebbe portare ad una stima incompleta di queste risposte. Inoltre, a causa dell’ampia flessibilità che si danno alle porzioni di carboidrati durante i pasti, lo sviluppo di raccomandazioni PRATICHE, per le impostazioni quotidiane della dieta, senza un esatto quantitativo al grammo sarebbero incomplete.


Il concetto di carico glicemico supera le limitazioni precedentemente menzionate relative all'indice glicemico in quanto non tiene conto solo di quest’ultimo, ma anche delle DIMENSIONI DELLE PORZIONI. Di conseguenza il GL rappresenta un indice più fedele sul quale fare delle valutazione se stiamo trattando la risposta glicemica del nostro corpo, soprattutto in base al fabbisogno derivante dallo stesso. Dall'equazione del GL, un pasto a basso indice glicemico / alto contenuto di carboidrati o un pasto ad alto indice glicemico / basso contenuto di carboidrati possono avere lo stesso impatto metabolico.


Quindi: “Sono stato bravo oggi, ho mangiato solo riso in bianco”; “Sì ciccio, ma ne hai mangiati 3 etti”, adesso lo capite.

Piramide dell'importanza (o Piramide di Maslow) quando si tratta di Carboidrati.


Regolazione della glicemia


La glicemia è un parametro da non sottovalutare assolutamente. Se avete un'idea di come funziona insulina (ne parlo QUI) capirete quanto sia importante non incappare nell’insulinoresistenza. Possiamo fare tutti i calcoli ingegneristici che vogliamo sui vari macronutrienti e calorie, ma se quello che mangiamo non viene poi assimilato, per vari motivi, stiamo solo sprecando tempo inutilmente.

Da un grande introito calorico derivano grandi difficoltà di digestione ed assimilazione (cit. IO)

Il glucosio deve circolare continuamente nel sangue al fine di fungere da risorsa energetica per le cellule. Una concentrazione di glucosio nel sangue da 70 a 100 milligrammi per 100 millilitri è tipica di uno stato di digiuno (in genere si misura al mattino dopo il digiuno notturno). Ciò equivarrebbe a circa 5 grammi di glucosio in circolazione dato un volume ematico totale di 5.5 litri. Tuttavia, il livello di glucosio circolante può aumentare dopo aver consumato un pasto o diminuire durante il digiuno in base alle esigenze del nostro organismo (domanda e offerta). Come ho già spiegato esistono diversi ormoni impiegati nel controllo dei livelli di glucosio nel sangue, tra cui il più significativo è l'insulina, ma anche il glucagone, l'epinefrina ed il cortisolo. L'insulina promuove una serie d’eventi cellulari che agiscono proprio per abbassare il livello di glucosio nel sangue quando quest’ultimo è più elevato (ovvero iperglicemia).


Integratori per il controllo della glicemia li potete trovare spiegati QUI.


Nel frattempo, glucagone, epinefrina e cortisolo coordinano le operazioni tissutali nel tentativo di aumentare il livello di glucosio nel sangue quando diminuisce (fase ipoglicemica), come accade ad esempio durante il digiuno e nei periodi di aumentata richiesta di glucosio (ad esempio, esercizio fisico e/o stress). Con il termine euglicemia si vuole indicare invece il raggiungimento ed il mantenimento di un livello normale di glucosio ematico a digiuno nonostante i cambiamenti negli stati nutrizionali e/o metabolici.


I carboidrati fanno ingrassare di più?


Su questa tematica ne ho sentite dire di tutti i colori, ebbene la risposta è: NO, i carboidrati non ci fanno (direttamente) ingrassare di più. Questa diceria nasce dall'errata concezione che, poiché l'ingestione di carboidrati aumenta in maniera significativa la secrezione insulinica, allora ciò significa che i carboidrati faranno accumulare più grasso, proprio per via delle proprietà antilipolitiche dell’insulina. Tuttavia, questo rilascio d’insulina avviene in acuto per poi ridursi tra un pasto e l’altro. Si è dimostrato che questo processo fisiologico non è in grado d’influenzare sensibilmente la perdita di grasso, laddove a monte abbiamo un buon deficit calorico.


L'aumento di grasso corporeo è principalmente, e semplicemente, il risultato di un consumo eccessivo di calorie. Se la quantità di calorie che introducete è superiore a quella che consumate, aumenterete di peso. Allora possiamo star tranquilli con i carboidrati? NI.


Questo macronutriente è molto ostico da controllare ed i suoi effetti sul lungo termine possono farci, indirettamente, ingrassare. In primis aumentando il nostro appetito e causando spesso una perdita d’adesione al regime dietetico, che spesso sfocia in sgarri quotidiani. Gli studi hanno dimostrato che le diete/i pasti ricchi di carboidrati, soprattutto di bassa qualità, e poveri di grassi e proteine ​​causano dei picchi glicemici che a loro volta comportano un precoce ritorno del senso di fame. Sazi subito, ma per poco tempo. Si è visto che l’assunzione di pasti ad alto contenuto di carboidrati comporta una ben più ridotta risposta post-pasto di GLP-1, PYY e grelina rispetto ai pasti più ricchi di proteine ​​e grassi. GLP-1 rallenta lo svuotamento gastrico, aumentando il senso di sazietà in risposta all'assunzione di cibo, e riduce l'appetito, agendo direttamente sui centri di regolazione della fame del SNC. Il Peptide YY (o PYY) migliora la sensazione di sazietà e la grelina è considerato il complementare dell'ormone leptina, prodotto dai tessuti adiposi, che induce sazietà ove presente in concentrazioni elevate. In parole povere: GLP, PYY e grelina sono essenzialmente gli “ormoni della sazietà”. Pasti più ricchi di proteine ​​e grassi e poveri di carboidrati si sono dimostrati in grado di promuovere e mantenere risposte ormonali di tipo saziante maggiori rispetto ai pasti ad alto contenuto di carboidrati, portando di conseguenza ad avere meno fame, meno calorie introdotte e quindi un migliore controllo del peso corporeo.


Ricordate sempre che niente nella nutrizione umana è bianco o nero, o semplicemente "calorie IN calorie OUT", come un interruttore. Ricercate sempre la qualità assieme alla quantità. Resta poi il discorso dell’iperinsulinemia, da non sottovalutare assolutamente sul lungo termine, e che è ben diversa dalla mera risposta in acuto, ma di questo ne ho già parlato a tempo debito (vedi precedente paragrafo dedicato alla glicemia, insulina ed obesità addominale QUI).


Ma allora di quanti carboidrati ho bisogno?


Se il vostro desiderio è quello di beneficiare di questo macronutriente senza abusarne dovete cercare un equilibrio che si rifaccia al vostro reale fabbisogno. In sala pesi, tale fabbisogno glucidico aumenta con periodi di riposo tra le serie più brevi, numero di ripetizioni più elevate e allenamenti che coinvolgono gruppi muscolari più grandi. Per tale motivo molti programmi d'allenamento dediti al dimagrimento falliscono, perché sposano serie infinite ad alte ripetizioni ed attività cardiovascolare con maratone a zero carboidrati. In pratica l'atleta si ritrova con allenamenti glicolitici, ma senza glucidi, con conseguente perdita della performance e stanchezza cronica. Le fibre muscolari a contrazione rapida dipendono particolarmente dal glucosio e sono le fibre che esauriscono per prime il carburante. Se vogliamo mantenere queste fibre performanti durante una sessione d'allenamento, dobbiamo assicurarci d'avere una buona scorta di glucosio. Non esiste una regola rigida su quanti carboidrati debba assumere una persona, ma lo schemino sotto può esservi d'aiuto per farvi un'idea.




Attenzione! Le informazioni contenute in questo articolo e nel Sito più in generale non intendono e non devono in alcun modo sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.


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